Antonio Lisciandro è il protagonista del 46esimo episodio di NDC, il format ideato e condotto da Momi EL Hawi, imprenditore nella ristorazione, che ha ideato questo programma al fine di far conoscere ai giovani in primis, ma a tutti in generale cosa si cela dietro a chi oggi è un imprenditore di successo. Antonio con la sua cadenza siciliana ed il suo dialetto che spesso emerge nel raccontarsi, rendendo l’intervista particolarmente ironica, è l’emblema dell’ingrediente base, ossia la passione per il suo lavoro

In ogni sua frase emerge questo concetto, non importa quale strada prenderai, chi diventerai, quanto hai studiato per farlo, quel che importa è la voglia che hai di imparare quel mestiere confrontandoti con chi ne sa di più, studiando sul campo le tecniche e scoprendo i segreti ‘dai maestri’. Solo con passione, devozione e voglia di crescere è possibile raggiungere grandi risultati.

Antonio lo sa bene ha iniziato a lavorare a 13anni per potersi permettere la bici ed il motorino, oggetti semplici, ma che la famiglia non poteva comprare, questa ‘fame’ di ottenere le cose, ha temprato, grazie ad un’educazione ferrea di rispetto e rigore, il suo animo ed il suo carattere, mai lascivo e sempre volenteroso di raggiungere gli obiettivi prefissati. Basti pensare per comprendere il metodo educativo con cui crebbe che il padre era un carabiniere, un uomo di fiducia di Dalla Chiesa.

Antonio nel tempo ha riscoperto anche lavorativamente le sue origini, ha ripreso in mano una tradizione di famiglia, che si era interrotta per una generazione, portando i sapori della Sicilia a Firenze. Il nonno paterno, morì tre mesi prima che suo padre nascesse, quindi Antonio non lo conobbe mai, ma quando per caso un amico di famiglia gli chiese di preparare dei gelati, e come se grazie agli appunti del nonno ed al suo ‘spirito guida’ lui avesse già un mestiere in mano, in quanto i gelati vennero naturali, e il risultato fu subito apprezzato.

Tutto questo amore, Antonio Lisciandro lo ha portato con sé, quando trentadue anni fa è partito con sua moglie per Firenze. E Firenze, sulle colline toscane, ha ricreato una piccola Sicilia, partendo dal gelato, che significa, materie prime, arte, cura, ricerca.

Abbiamo cercato sui social qualcosa in più su Antonio, in quanto nell’intervista, sempre troppo breve, quando si ha davanti un personaggio dalle mille risorse, non è emerso tutto, ed abbiano trovato alcune interviste che ha rilasciato in passato a Educaweb e a Balarm news, dove sono emersi aspetti interessanti anche sulle origini del nome di quella che oggi è la sua più grande creatura, ossia Parco Carabé, qui alcuni tratti che ancor più identificano la passione che accompagna Antonio nel suo lavoro:

Parco Carabé, nel brand l’insieme delle qualità che hanno portato al successo

Antonio sostiene che “che tra tutte le arti, quella di fare gelature è la più nobile, in quanto 𝐥’’𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐚 𝐦𝐞𝐫𝐚𝐯𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐞 𝐩𝐨𝐯𝐞𝐫𝐢, 𝐞 𝐚 𝐝𝐨𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐢 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢 𝐢𝐥 𝐬𝐨𝐫𝐫𝐢𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐛𝐚𝐦𝐛𝐢𝐧𝐢”. 

La passione per il gelato e la sua storia però non si é limitato solo alla produzione dei gelati con materie prime di alta qualità artigianale, ma nel suo sforzo di voler far conoscere la tradizione del gelato e della sua produzione, attraverso appunto l’ideazione di un parco tematico del gelato aperto al pubblico, dove illustrare i segreti di una tradizione antica.

Parco Carabè, spiega ai nostri colleghi: ‘è  immerso tra gli alberi di uno storico frutteto e delle famose “balze” di argilla, Nel “parco” chiunque ha qualcosa da promuovere, può raccontarlo perché qui tutto è una storia da raccontare. In questo luogo si vive a contatto con la natura, con i cavalli che allevo e con ciò che produciamo, non solo frutta

Le qualità che lo hanno portato al successo attuale, sono racchiuse, dice nel nome del Brand “Car-ab-e”. Car…isma, ab…ilita’, è…esperienza. Tre pilastri su cui ho costruito la mia azienda”

L’unica nota stonata per Antonio, che emerge molto bene nell’intervista rilasciata a Momi, è il fatto che i giovani d’oggi si formino sempre meno nei laboratori artigianali, troppo spesso l’arte artigiana si tende ad insegnarla a scuola, ma purtroppo, afferma, i banchi non sono sufficienti, occorre pratica, e la ‘bottega’, solo così si può realmente imparare e soprattutto comprendere se è il mestiere giusto.

Concludiamo con una bellissima frase di San Francesco, che Antonio sente particolarmente sua è che ben racchiude tutto il ragionamento fin qui fatto:

Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista”. 

Di seguito l’intervista rilasciata a Momi in cui racconta molto di sé, per chi se la fosse persa:

Di Erica Venditti

Erica Venditti, Classe 1981, giornalista pubblicista dal 2015. Ho conseguito in aprile 2012 il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.