Il tema del precariato nel mondo del lavoro é purtroppo comune a molte realtà lavorative, sempre più giovani lamentano di non riuscire ad essere indipendenti proprio a causa di contratti mal pagati ed a scadenza. Purtroppo anche Poste Italiane, non esce indenne da questo ciclone di polemiche, tant’é che sono moltissimi i dati che evidenziano come i contratti a termine, a tempo determinato, stiano andando per la maggiore all’interno delle assunzioni di Poste Italiane. Sono proprio i lavoratori della grande azienda che hanno deciso di dire basta ed il 9 Luglio presenzieranno in Parlamento in occasione di ‘Essere Precari Stanca’ per raccontare di persona, attraverso testimonianze dirette, la loro battaglia per ottenere stabilità e dignità, saranno ben 4 i lavoratori di Poste italiane che si confronteranno con esperti del lavoro.

A tal proposito sono in molti, nelle stesse condizioni contrattuali, a chiedersi se questi contratti a termine potrebbero nel caso essere impugnati dai lavoratori che spesso vedono le promesse disattese e non riescono mai ad ottenere, se non in rari casi, il tanto atteso ‘posto fisso ‘. Potrebbero i lavoratori di Poste italiane attraverso una class action reclamare un loro diritto e chiamare in causa Poste Italiane? Dei contratti a termine e della disciplina giuridica che li regge ne abbiamo parlato con il Professor Cazzola, Giuslavorista, esperto di lavoro e oggi consulente al Cnel nel gruppo di lavoro ‘Riforma e prospettive del sistema previdenziale’,  Le sue dichiarazioni al riguardo in questo prezioso elaborato prodotto in esclusiva per Ultimenews.info in cui si evince anche il tono sarcastico del Prof. Cazzola quando si parla del Governo attuale e di chi si dovrebbe occupare di lavoro.

Poste Italiane, ‘essere precari stanca’, ne parliamo con il Professor Giuliano Cazzola, giuslavorista

La disciplina del contratto a termine è uno dei temi caldi a molte sigle sindacali, ed é uno dei temi oggetto del referendum di iniziativa sindacale. L’obiettivo è quello di collegarne l’utilizzo a precise condizioni previste dai contratti collettivi eliminando i periodi acausalità (ovvero quelli in cui le aziende – oggi fino a 12 mesi possono assumere a termine senza essere tenute a motivare il perché).  La questione cruciale riguarda l’introduzione di causalità più o meno definite per poter assumere a termine e prorogare i relativi contratti. Nel 2001, fu recepita una direttiva della Ue rivolta a liberalizzare l’uso dei contratti a termine dai vincoli a cui erano sottoposti nelle diverse legislazioni nazionali (compresa L’Italia il cui ordinamento consentiva l’instaurazione di questo rapporto solo in casi tassativamente indicati dalla legge).  Il legislatore, però,  non  volle o non fu in grado di rinunciare a richiedere alle imprese conto delle motivazioni che le inducevano a deviare temporaneamente rispetto alle normali assunzioni a tempo indeterminato. Tuttavia , per non tornare al regime dei vincoli precedenti, fu adottata una formula generica definita il ‘’causalone’’ ovvero  era possibile ricorrere ai contratti a termine per ragioni  “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.

Proprio perché generica la norma dava luogo ad fitto contenzioso giudiziario a fine rapporto allo scopo di ottenere la trasformazione a posteriori del contratto a tempo indeterminato. Come è avvenuto ripetutamente in tanti casi tra cui le poste attraverso vertenze collettive.

Tranne che nei casi di lavoro stagionale, l’assumere a termine era rischioso per un datore di lavoro che poteva sempre essere portato in giudizio a conclusione del rapporto. Il governo Renzi affrontò la questione col decreto Poletti del 2014 che abolì il ‘’causalone’’ e consentì la stipula e la proroga di contratti a tempo determinato ‘’acausali’’ – per la stessa mansione e con lo stesso datore- per una durata fino a 36 mesi.

Dopo le elezioni del 2018, la materia del lavoro viene appaltata al M5S e a Luigi Di Maio (ora divenuto il nuovo Laurence d’Arabia), il quale, da ministro del lavoro vara in un crescendo di ottoni il c.d. decreto dignità in cui l’acausalità del ricorso al lavoro a termine era consentita per un massimo di 12 mesi, mentre le proroghe o i rinnovi fino a 24 mesi  erano condizionale da esigenze: 1) temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, o per esigenze sostitutive; 2) connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria; 3) relative alle attività stagionali, e a picchi di attività. Il pacchetto delle causalità non solo era severo, ma il fatto nuovo stava proprio nella reintroduzioni, dopo i primi 12 mesi, di vincoli accertabili in giudizio. Ma che cosa è successo nella realtà?

Ben presto, anche in seguito alla pandemia, ci si accorse che l’applicazione del decreto dignità creava problemi sia alle aziende che ai lavoratori, costringendo le prime a procedere ad assunzioni di persone diverse da quelle occupate nei primi 12 mesi. Le statistiche di quel periodo segnarono un crollo delle assunzioni a termine. Così le prescrizioni del decreto dignità vennero sospese nel decreto rilancio: ‘’per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da Covid-19, è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere anche in assenza delle condizioni previste nella legge’’. Poi del decreto dignità si sono perse le tracce, benché Giuseppe Conte, ogni tanto, ne richiedesse la riattivazione.

A questo punto, che cosa ha fatto di perverso il governo Meloni? Ha ammorbidito (?) le causalità che consentono di andare oltre i 12 mesi per arrivare a 24 (come previsto anche nel decreto dignità). Ma i sindacati non si sono accorti che il nuovo decreto ha ripristinato pari pari il famigerato ‘’causalone’’ che il governo Renzi (ora ripudiato dal Pd) aveva tolto di mezzo fino a 36 mesi.

Nel decreto Meloni si fa riferimento alle esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 30 aprile 2024’’. In breve: il ‘’causalone’’ lascia molti più margini di interpretazione discrezionale al giudice in caso di controversia.

Ci si poteva aspettare che un governo di destra, nemico dei lavoratori, ripristinasse almeno quanto aveva stabilito a suo tempo il governo Renzi. Invece chi si aspettava l’arrivo della Thatcher ha trovato solo Claudio Durigon

Ci pare che alla disamina ci sia poco da aggiungere, la stessa apre sicuramente a molti spunti di riflessione circa la domanda che ci eravamo posti in apertura. I lavoratori di Poste Italiane potrebbero agire con una class action? L’argomento potrebbe essere di sicuro interesse per una delle prossime puntate di AltrocheTg, ideato e condotto da Giuseppe Silvio l’Abbate, Segretario regionale della Failp Cisal, da sempre attento ai temi del lavoro e del benessere dei lavoratori. Ricordiamo al riguardo l’ultimo suo libro: “Lavoro e produttività in Italia: strategie per il miglioramento delle condizioni lavorative’

Voi dalla vostra che idea vi siete fatti? Fatecelo sapere nell’apposita sezione ‘commenti’ del portale.

Di Erica Venditti

Erica Venditti, Classe 1981, giornalista pubblicista dal 2015. Ho conseguito in aprile 2012 il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.