Nei giorni scorsi ospite della 15esima puntata del programma NDCNon diciamoci Caxxate, diretto ed ideato da Momi El Hawi, imprenditore nel campo della ristorazione, alla ricerca di talenti e/o storie di successo vi era Vincenzo Vespri, Professore universitario di Matematica al dipartimento di Matematica e Informatica “Ulisse Dini” – all’Università degli Studi di Firenze. Incuriositi dal suo intervento ci siamo permessi di ricontattarlo telefonicamente per fare qualche domanda in più sulla ‘scuola che ci piace‘ e che tutti vorremmo poter frequentare, quella che non si limita al voto ma che punta più sulla formazione per la vita. La scuola che non si ferma al fornire la mera conoscenza della disciplina, ma punta a dare competenze e skill per la vita.

Ultimenews.info: Gentile professore Vespri, nei giorni scorsi il filosofo Galimberti ospite su La 7 ha detto: “Abbiamo docenti che non hanno mai incontrato un libro di psicologia in età evolutiva e hanno a che fare con studenti in età evolutiva. Inutile chiamare gli psicologi. Al posto di parlare con i genitori i prof devono parlare con gli studenti” . Qui è probabile che ci si riferisca alla scuola secondaria, lei è docente all’università, ma condivide le parole di Galimberti? Dall’intervista che ha rilasciato a Momi nel format NDC ricordava proprio l’importanza del rapporto tra studenti e docenti, lei con i suoi va anche a mangiare una pizza e molti si confidano con lei, cosa conta di più nel rapporto con gli studenti oggi?

Partiamo da una premessa Erica, credo che in alcuni casi particolari lo psicologo serva a prescindere, la scuola non può bastare e non può farsi carico di problematiche particolari e non è nemmeno giusto che se ne assuma le responsabilità. Sono invece d’accordo sul fatto che un corso di pedagogia o di psicologia evolutiva potrebbe servire anche per i docenti universitari, a molti manca effettivamente l’empatia. Insegnare è possibile, a mio avviso, solo se si crea comunità, se il professore crede che lo studente funga da contenitore per recepire conoscenze, ma non lo considera parte attiva nella conoscenza ha già perso molto di quello studente e non potrebbe insegnare. Il professore deve avere autorevolezza non autorità, l’autorità ne è solo una conseguenza, deve sapere di dinamiche di gruppo, deve creare rapporti. Deve in qualche modo riuscire ad essere confidente con gli studenti, dare confidenza implica che lo studente racconti un po’ di sé , lo studente deve capire che può parlare anche dei propri problemi qualora li avesse, il docente non dovrebbe solo fermarsi al trasferire la materia, il compito di un ‘bravo’ insegnante sostanzialmente dovrebbe essere che lo studente acquisisca una fiducia tale nei confronti del docente da appassionarsi poi di ritorno alla materia che insegna. Va da sé che il rapporto tra studenti e docenti deve essere ‘vero’, ossia il docente non deve imporre il rapporto, ma essere solo a disposizione qualora lo studente lo richiedesse. Vi sono anche allievi per cui è sufficiente entrare in aula, ascoltare la lezione e dare l’esame, non siamo tutti uguali.

Ultimenews.info: Galimberti, asserisce ancora: “La scuola italiana quando ci riesce istruisce, ma non educa. E’ necessario essere empatici: per un professore non è sufficiente superare un concorso, ma bisogno che si sottoponga a un test che stabilisca se empatico oppure no, La partecipazione emotiva dei ragazzi è essenziale” Esagerato ed utopico o dovrebbe esistere davvero questo test?

La scuola deve educare nelle fasi primarie ed in famiglia, nell’università ormai si dà una formazione. Però per un ragazzo è necessario avere una partecipazione emotiva, ma come dicevo poc’anzi non tutti i ragazzi sono uguali, alcuni ci mettono passione e vogliono imparare e sono anche contenti di apprendere e dunque andare oltre il ‘compitino’ e la regolina da applicare, altri invece preferiscono lavorare stile automi, studiare la regola ed applicarla per superare l’esame, ecco io in quel caso non solo ho poche possibilità di fare appassionare uno studente, ma risulto anche antipatico, perché nel mio esame per avere un voto alto devi davvero dimostrare qualcosa in più: che hai acquisito proprietà di ragionamento, non mi basta la regoletta applicata, in quel caso porti a casa la sufficienza o poco più. Chi mette passione invece trova il mio metodo stimolante. Quindi vede parlare di test sull’empatia è complesso, perché come si misurerebbe? Nel mio caso se si guardasse il feedback degli studenti potrei non passarlo, il mio metodo piace ad 1/3 degli studenti, ma con questi ho un rapporto davvero buono. E se anche i parametri fossero altri, non so se potrebbe servire, io credo che un buon metro di giudizio potrebbe essere: quanti docenti ti hanno lasciato qualcosa? quelli di cui ricordi i nomi. Nella vita i ragazzi incontrano ed incontreranno moltissimi docenti, ma se qualcuno resta nelle loro menti ha fatto centro, quello ha davvero educato oltre che aver insegnato, perché ha lasciato qualcosa nello studente. Gli altri di cui non ricordano i nomi e forse nemmeno la materia hanno lasciato solo nozioni. La scuola dovrebbe aiutare anche a vivere, fornire quegli strumenti, quelle skill utili ad affrontare la vita.

Ragazzi svogliati? No demotivati, parla il Prof. Vespri

Ultimnews.info: Si dice che molti ragazzi siano svogliati, lei come descriverebbe questa generazione? E soprattutto come sarà a suo avviso l’università con l’avvento dell’IA?

E’ vero alcuni studenti sono svogliati, ma altri, molto più che svogliati sono demotivati, qui la responsabilità è di molti docenti che non cercano alcuna partecipazione: entrano, spiegano la lezione, magari anche di spalle, e se ne vanno, chiaro che non passa nulla a livello empatico. Se uno ci mette del suo, i giovani, tendenzialmente, si entusiasmano.  Partiamo anche col dire che i ragazzi di oggi hanno già tanti stimoli, molti hanno fatto esperienze all’estero, vivono con e attraverso la tecnologia. Chiaro che se il docente conta di fare la stessa lezione che faceva 10/15 anni fa ha già perso in partenza, anche i docenti devono seguire il cambiamento per risultare interessanti ed al passo, e poi avendo una mente aperta, anche il docente può apprendere tantissimo dai giovani, ecco che il quel caso l’insegnamento diventa uno ‘scambio’ tra i due soggetti. Per me insegnare è questo è dare competenze, ma ricevere anche spaccati di vita e conoscenze, lavorare con i giovani significa restare sempre giovani, l’insegnamento è un’esperienza meravigliosa.

L’uso dell’IA cambierà tutto, impostare la scuola sperando si possano superare gli strumenti informatici è già un perdere in partenza. La scuola deve essere in divenire, adattarsi al nuovo, ma allo stesso tempo servono persone maggiormente critiche, perché se l’IA può far tutto e tutti prendiamo per buono quanto a livello di intelligenza artificiale verrà prodotto il rischio è che se i robot facessero errori nessuno se ne accorgerebbe. Lo stesso Goebbels afferma: ‘ Ripeti 100 volte una bugia è diventerà una verità”, questo vuol dire che se non abbiamo menti critiche che possono uscire solo dalle scuole e dalla passione di formarsi, il rischio è che si prenda per buono tutto, così come spesso accade sui social. (L’immagine sotto per fare solo un esempio fa ben comprendere come la realtà con un titolo ad effetto possa essere ‘travisata’ completamente

Sarebbe quasi facile credere che 2+2 fa 5 o 3 se non esistessero più menti critiche e se qualcuno continuasse a ripetercelo. Insomma il compito della scuola e soprattutto dell’università è quello di dare capacità critica, affinché non venga meno il pensiero di Orwell: “Libertà è la libertà di dire due più due fa quattro”.

Ringraziamo il Prof. Vespri per il tempo dedicatoci e vi chiediamo voi avete incontrato un Prof. Vespri nella vita?

Di Erica Venditti

Erica Venditti, Classe 1981, giornalista pubblicista dal 2015. Ho conseguito in aprile 2012 il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.