Sempre più spesso si sente parlare di ‘malati invisibili’, si tratta di quei pazienti che sono affetti da una malattia rara e che ancora oggi sono orfani di diagnosi, oppure l’hanno ottenuta dopo vario peregrinare in centri ambulatoriali e varie visite, ma faticano a vedere riconosciuti i loro diritti e ad essere considerati come realmente ‘malati’, dalla società stessa. Perché la malattia, si sa, è molto più semplice da comprendere se visibile, quindi un disabile o una persona in sedia a rotelle, sono facilmente identificabili come tali, mentre chi soffre di patologie rare e non immediatamente visibili ad occhio nudo, passano maggiormente inosservati.
Eppure dati alla mano L’Istituto Superiore di Sanità ha stimato che siano circa 30% quei malati affetti da malattie rare a cui ancora non è stato dato un nome alla propria patologia. Avere una diagnosi precisa è fondamentale per poter avere un’assistenza corretta ed essere indirizzati alle giuste terapie, senza perdere tempo e denari in altre inefficaci perché non mirate. La diagnosi corretta, che spesso giunge dopo molti anni di tribolazione dei pazienti, che non vengono ‘creduti’ e/o ascoltati sufficientemente nel racconto dei loro sintomi, in quanto appunto questi non sono visibili inizialmente ad occhio nudo, è invece proprio ciò che consentirebbe poi a queste persone, già provate dalla malattia rara, di avere una vita il più possibile facilitata sul piano medico, famigliare, lavorativo e sociale.
Le malattie rare sono proprio quelle che sono talmente complesse da risultare semi-sconosciute anche ai medici stessi ed alla comunità scientifica. Per questo gli individui colpiti da tali malattie spesso si sentono incompresi, vivono nell’incertezza, in balia di qualcuno che si prenda a cuore le loro problematiche e giunga ad una diagnosi.
Spesso anche quando poi la diagnosi viene fatta, e si scopre di essere ad esempio affetti dalla sindrome di POTS, Sindrome da Tachicardia Ortostatica Posturale, e magari si ottiene l’affiancamento di un cane guida che allerta il paziente in caso di crisi che gli permette di mettersi in sicurezza prima di perdere coscienza e provocarsi ferite cadendo, purtroppo questi ‘angeli’ a quattro zampe non vengono riconosciuti alla stregua di quelli per i non vedenti. Perché, la malattia, appunto, è invisibile e spesso chi si trova a dover far accedere paziente e cane, non vedendo la patologia e non andando a fondo, preclude al malato l’accesso ad alcuni momenti di vita normale, come era capitato a Vanessa a cui fu negato l’accesso con il suo cane all’acquario di Genova pochi mesi fa, caso denunciato dall’Associazione i Nodi D’Amore, di cui Giovanni Gravili è presidente.
In questi giorni abbiamo raccolto la testimonianza della mamma di Vanessa, la signora Emanuela a sua volta non solo mamma di due ragazze affette da patologie rare, ma egli stessa malata invisibile, a cui solo da pochi anni, nel 2012, dopo una vita in sofferenza e rimbalzi medici è stata dato un nome alla sua malattia: collagenopatia. Una patologia ad oggi poco conosciuta che richiede anche reiterate visite da parte dell’INPS per essere accertata ogni anno. Stessa sorte per le figlie. La Signora Emanuela nella sua testimonianza lancia un grido di allarme, chiede supporto, è una donna lavoratrice, fa l’infermiera, affetta da una malattia rara e nonostante questo caregiver delle due figlie malate della stessa patologia a cuisi sommano altre diagnosi che creano un quadro poco semplice. La Signora chiede alle istituzioni maggiore supporto, che l’Inps snellisca le procedure, specie se si tratta di malattie genetiche rare che non possono migliorare, al fine di evitare continui spostamenti a pagamento per visite di controllo che durano solo 12 mesi, inoltre chiede a gran voce che il ruolo di caregiver venga riconosciuto ai fini lavorativi, venga concesso uno stipendio, ed a fini previdenziali per una pensione futura. Ora la Signora Emanuela, Super mamma e super donna, continua a lavorare e dunque dalla sua uno stipendio lo ha, ma ci sono altri casi in cui il caregiver perde il lavoro per dedicarsi h24 ai servizi si cura della persona cara. Per questo Giovanni Gravili e tutta l’Associazione I Nodi D’amore da tempo si spendono affinché il ruolo di caregiver venga riconosciuto come lavoro a tutti gli effetti, perché di questo si tratta. Un lavoro per giunta gravoso ed usurante.
Di seguito la lunga lettera della signora Emanuela rivolta anche SSN ed alle istituzioni affinché anche i malati invisibili possano essere tenuti in considerazione:
Malati invisibili chiedono voce: la testimonianza di Emanuela, disabile, lavoratrice e caregiver
“Mi chiamo Emanuela, ho 48 anni e fin da bambina il mio sogno più grande era di essere moglie e madre e successivamente è arrivata la vocazione di diventare infermiera, ma chi se lo sarebbe mai aspettato che oltre ad essere moglie, madre e lavoratrice sarei diventata caregiver di me stessa e delle mie figlie? Purtroppo la mia salute è sempre stata molto cagionevole, ma mai nessuno è arrivato ad una diagnosi, probabilmente perché quando dicevo che mi faceva male qualsiasi parte del mio corpo era più semplice darmi della psichiatrica o della paziente complessa, e stessa sofferenza è toccata anche alle mie figlie, che dopo lungo peregrinare fra svariati medici e parecchie ospedalizzazioni “grazie” a loro finalmente è arrivata la diagnosi nel 2012 grazie alla professoressa Marina Colombi, specialista in genetica medica, la quale ci ha diagnosticato una sindrome genetica rara evolutiva e successivamente con indagini genetiche degenerativa, una collagenopatia che porta al dolore cronico, a problemi neurologici, gastrointestinali, sanguinamenti lussazioni e di dislocazioni di tutte le articolazioni. Questo è stato l’ennesimo punto di partenza, ma finalmente qualcuno aveva dato un nome a tutti quei problemi che erano iniziati fin dalla nostra nascita.
L’euforia di aver dato un nome a tutto questo dolore e finalmente poter gridare al mondo di non essere pazze è svanita quando ho poi capito che in Italia le malattie rare e in particolare queste così particolari e rare non vengono quasi nemmeno prese in considerazione se non da pochissimi studiosi ai quali vengono poi tolti i fondi per studiarle perché appunto troppo rare, con troppe varianti e diciamocelo chiaro portano solo debiti al SSN. Il problema ancora più grande è quando ti presenti in commissione invalidi per avere il riconoscimento dell’handicap e dell’invalidità civile e non conoscono nemmeno la sindrome e ciò che comporta. Per la nostra sindrome genetica rara, oltretutto, non esiste in Italia un ospedale con un equipe medica dedicata dove vieni preso in carico ed ogni tuo singolo organo viene curato con la consapevolezza che è alterato da questa sindrome e che nel momento del bisogno ci sia qualcuno a cui potersi affidare e perciò in quanto disabile e caregiver ho passato e tutt’ora passo le notti a leggere curriculum di medici di ogni specialità medica e chirurgica con la speranza che ci sia un piccolo accenno alla conoscenza delle collagenopatie per capire dove potermi rivolgere per poter sopravvivere a tanto dolore fisico e mentale e naturalmente una volta trovato il medico si deve mettere mano al portafoglio con cifre a volte inarrivabili, perché col sistema sanitario i tempi sono lunghissimi o addirittura questi Medici non li vedi nemmeno col binocolo, con la speranza di avere un aiuto. Mi sono persino trovata in condizioni di dover decidere quale delle due figlie far curare per prima perché economicamente provati dal continuo peregrinare da un medico all’altro per cercare il “miracolo”, naturalmente aggravando così la mia situazione perché da madre naturalmente mi sono messa in secondo piano rinunciando a qualsiasi cosa pur di poter vedere le mie figlie stare decentemente, sia alle cure per la mia stessa salute che al rapporto tra me e mio marito, che si è andato logorando col tempo per questa discrepanza di responsabilità e peso sulla mia salute mentale. Questo non è giusto, il nostro governo dovrebbe garantire delle vie prioritarie dedicate alle malattie rare, sia per quanto riguarda la scelta degli specialisti che il sistema di prenotazione, congedi mirati oltre alla legge 104 che al lavoro ti chiedono pure come mai ne hai così bisogno, è ingiusto dover utilizzare giorni di ferie perché i giorni retribuiti di malattia sono agli sgoccioli, è ingiusto che le tue figlie sentono di dover dire che la maggior parte dei viaggi che hanno fatto nella loro vita sono stati in ospedale.
È ingiusto che con patologie di questo genere una volta raggiunta la maggiore età ogni 10/11 mesi si debba essere chiamati in commissione invalidi per sentirsi chiedere come mai si stia sempre peggio, per la loro incompetenza e ignoranza in merito a qualcosa di cui dovrebbero avere le idee chiare e quindi dover correre dietro a medici che devono ripetutamente aggiornare un quadro clinico sempre in declino per ogni singolo distretto del nostro corpo, altri viaggi in ospedale che potrebbero essere risparmiati, sia per il nostro benessere psicofisico che per il peso economico che gravano; è ingiusto che dopo 17 anni mia figlia più piccola, oltre a tutti i problemi di salute sopraelencati e anche di più, abbia avuto la diagnosi di autismo, sebbene fosse da tempo che come madre continuavo ad affermare che potesse trovarsi sullo spettro, oltre alla diagnosi di ADHD presente sin da piccolissima, è comunque dal primo di marzo che stiamo aspettando invano l’indennità di accompagnamento che le è stata finalmente riconosciuta solo sulla carta ma senza vedere gli effetti di fatto e tra un paio di mesi ci vedremo comunque togliere, dal momento che diventerà maggiorenne e dovremo andare nuovamente in commissione invalidi e perciò ripetere l’iter di dover far diagnosticare ogni singolo organo del suo corpo come entità a sé stante, perché nessuno conosce questa malattia rara e quindi un quadro d’insieme non viene mai presentato, ma solo tanti pezzi di un confuso puzzle. Vorrei tanto che questo governo potesse garantire ai disabili e ai caregiver la tranquillità di poter prenotare le visite con vie prioritarie col sistema sanitario nazionale, di poter vedersi riconoscere i propri diritti e di non dover lottare sempre per poterli ottenere; la cosa dovrebbe partire addirittura dall’istruzione ed educazione civica verso il prossimo, anche perché nell’immaginario comune il disabile è visto solo come soggetto in carrozzina o il cieco accompagnato da un cane guida. La realtà è ben diversa e le modalità per aiutare anche chi soffre di disabilità invisibili si stanno evolvendo, solo non con l’aiuto delle autorità che invece dovrebbero farsene carico. Ci sono associazioni magnifiche come quella che segue mia figlia maggiore Vanessa e il suo percorso con il cane di servizio che le hanno donato, il Jack Russell Terrier Loki, che la allerta in caso di una incombente crisi dovuta alla POTS, che per via della conseguente perdita di conoscenza potrebbe portare a gravi conseguenze date dalla caduta, ma che non viene riconosciuto alla pari di un suo collega cane guida per ipovedenti per falle nel sistema che anche in questo caso suddividono le necessità basilari di un disabile. E così anche tra disabili si creano divari insormontabili, dove ognuno cerca di scavalcare l’altro in cerca del cosiddetto miracolo, o una semplice mano d’aiuto che però non arriva per nessuno, creando una guerra tra poveri. Purtroppo non viene insegnato che il dolore è qualcosa che ti logora dentro e ti distrugge fisicamente e mentalmente se oltre a stare male bisogna lottare per ciò che è un tuo diritto è ancora più avvilente. E cosa ancora più grave sono tutti questi bonus che vengono tecnicamente rilasciati per dare il contentino, peccato che nonostante se ne abbia il diritto, nella pratica ogni volta siano già finiti i fondi verso non si sa mai chi.
Ciò che chiedo non è elemosina, non è compassione e nemmeno 15 minuti di gloria, voglio solo ciò che ci spetta di diritto, se non per me, che ormai la mia vita l’ho vissuta di sacrifici, rinunce e lacrime soffocate dietro una maschera sorridente per non pesare sugli altri, per le mie figlie, per le generazioni che stanno nascendo e che non stanno ricevendo le attenzioni che meritano e di cui hanno un disperato bisogno. Non vogliamo di più degli altri, vogliamo eguagliarci, poter essere considerate solo persone, non esseri a parte della società.
Le richieste al Governo
Riassumendo, a questo governo chiedo, in quanto disabile caregiver: fondi per la ricerca, finanziamenti per il sistema sanitario nazionale, riconoscimento dei caregiver come elemento essenziale ed indispensabile per non gravare su risorse sanitarie già scarse che potrebbero giovare ad altri ambienti, la semplificazione nel poter richiedere un prepensionamento nel caso di condizioni di salute di entità così grave da rendere mansioni basilari quasi insormontabili, tenendo conto che dietro dei lavoratori vi sono delle persone, con dinamiche famigliari complesse e che devono gestire nella solitudine di un ruolo imposto ma non richiesto in una società egoista e irriconoscente; ultimo, ma non per importanza, il riconoscimento dei caregiver animali, o animali di servizio/supporto come vengono definiti molto spesso, per chiunque ne abbia il bisogno”
Ringraziamo Emanuela per averci reso parte della sua vita e delle sue difficoltà e per essersi fidata di noi e del nostro desiderio di darle voce.
A cura di Erica Venditti
Ufficio Stampa Associazione I Nodi d’Amore