Leggo su Facebook sul profilo personale dello scrittore Alberto Pellai, un testo che egli ripropone e che ha pubblicato interamente su Famiglia Cristiana relativamente ad alcune considerazioni sulla tragedia avvenuta ad un giovane di 26 anni a Padova. Una tragedia che forse, si sarebbe potuta evitare, se solo quel ragazzo non avesse dovuto nascondersi dietro ad una maschera ed una vita parallela che egli stesso aveva creato, forse perché non soddisfatto della sua o per compiacere i suoi genitori o chissà chi. Gli stessi genitori che oggi dicono ai media ‘ ci vergogniamo di non aver capito, é colpa nostra’.
Pellai fa notare come sia importante sapere ascoltare i nostri giovani, e quanto poco loro stessi si accettino per quello che realmente sono per paura di non essere mai all’altezza in un mondo che sempre più punta sulla performance. Vi lasciamo alle sue parole che riportiamo integralmente, certi che possano essere un buon spunto di riflessione per intere famiglie.
Padova, 26enne muore in uno schianto d’auto, Pallai: la fragilità nei giovani e i profili fake
Così Pallai su Famiglia Cristiana: Un giovane uomo di 26 anni si schianta con l’auto nella notte che precede la sua discussione di laurea. In realtà, quello schianto serve a cancellare una verità che sembra non condivisibile con chi ha già organizzato la festa, comprato le bomboniere con i confetti rossi, prenotato il viaggio regalo con cui celebrare uno dei traguardi più importanti della vita. Riccardo, questo il nome del giovane uomo, non è riuscito a sopravvivere alle sue “non verità”. Non possiamo chiamarle bugie: perché, intorno alle sue non verità Riccardo per molti mesi ha mantenuto un’identità coerente di fronte ad amici e famigliari. Un’identità che la mattina in cui avrebbe dovuto “non laurearsi” si sarebbe sgretolata. Così il vero Riccardo, l’unico che sapeva tutto di sé, ha schiantato contro un albero quello finto. Nessuno sa se in questo gesto autolesivo, dovevano morire tutti e due, come poi è successo. Di certo, la dolorosissima storia avvenuta in provincia di Padova ci racconta molte fragilità dei nostri figli.
Molti si chiudono nelle loro stanze e con il loro stato di “ritirati sociali” fanno capire al mondo che non hanno più intenzione di partecipare attivamente alle sfide che la vita proporrà loro. Altri, come Riccardo, provano a mantenere un’identità “fake” (ovvero finta) che continua ad apparire soddisfacente agli occhi degli altri. Raccontano ai genitori che studiano, passano esami, si laureano, hanno un lavoro. Ma non è vero niente. Prolungano un tempo di “non verità” intorno al quale strutturano un’identità che non esiste, perché nulla di ciò che raccontano e mostrano di sé sta avvenendo nella realtà vera, quella dei fatti concreti e certificati. Ai nostri figli, spesso chiediamo di essere sempre felici, di non imporci il loro disagio, le loro tristezze. “Ma dai non piangere, che tutto passa.”.
Gli organizziamo feste, gli compriamo regali immaginando che così non sentano il dolore. Ma il dolore non puoi cancellarlo, al contrario devi riuscire ad abitarlo se poi vuoi attraversarlo e venirne fuori. Imparare a maneggiare il dolore senza lasciare che ci distrugga: è questo che dobbiamo imparare a fare tutti. Noi genitori prima di tutto, perché se sappiamo farlo noi, ci riusciranno anche i nostri figli. Famiglia Cristiana mi ha chiesto di riflettere su un caso di cronaca che tocca profondamente nel cuore tutti noi, in particolare noi genitori. Leggete pure questo articolo con i vostri/e figli/e, studenti e studentesse. Una preghiera per riccardo e la sua famiglia. L’articolo completo è nel link associato a questo post.
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