Anche oggi è venuto a far visita alla moglie, anche oggi porta nella mano sinistra un mazzo di gigli freschi. Nella stessa mano, sull’anulare, brilla ancora la fede nunziale.
Ci sono luoghi dove di tanto in tanto mi concedo un po’ di pace, uno sguardo al mare, uno al cielo, lascio che i pensieri evaporino sotto forma di fumo e cenere. Uno fra questi luoghi è una vecchia panchina sulle alture della mia città, la vista è davvero meravigliosa, altrettanto il silenzio che di rado viene rovinato da qualche auto di passaggio.
Su un muraglione, distante appena pochi metri dal mio piccolo rifugio c’è una targa commemorativa per Vittoria, una ragazza di appena trentatré anni, venuta a mancare nel 1979. Sulla targa c’è una dedica, firmata da Giorgio, quanto basta per dare un nome all’anziano che vedo regolarmente far visita alla ragazza scomparsa.
Non ho idea di come sia morta, né del perché, so solo che non c’è stata sera in cui io fossi lì che non abbia visto arrivare questo anziano signore di circa ottant’anni far visita a quella lapide.
Passano pochi minuti ed eccolo arrivare, ben curato nell’aspetto con il suo cappotto nero e le sue immancabili scarpe di pelle della stessa tinta. Il passo è incerto e si accompagna con un bastone, la postura è stanca ma colma di dignità e fierezza fino al midollo.
Al collo porta una sciarpa verde, sempre la stessa, fatta a mano, e di tanto in tanto la accarezza come se in lei ritrovasse le mani di Vittoria, di tanto in tanto la annusa come se Vittoria l’avesse appena finita di cucire con tutto il suo amore.
Giorgio, al cospetto della sua amata, si toglie il cappello a tesa larga lasciando al vento la sua chioma argentea, i suoi occhi spenti più grigi che azzurri sembrano illuminarsi per qualche secondo, poi procedendo con il suo rituale sostituisce i fiori secchi con il mazzo di gigli freschi e pulisce con cura la foto di Vittoria, per poi passare alle lettere dorate sottostanti che compongono il suo nome.
Ogni qual volta mi capita di vedere Giorgio, ripongo il telefono in tasca togliendo la suoneria ed in religioso silenzio mi soffermo a guardarlo, sentendomi spesso “di troppo” in quell’intimo appuntamento con sua moglie.
Sembra di vedere per l’ennesima volta un vecchio film in bianco e nero proiettato in un vecchio cinema di quartiere, conosci già la trama ed il finale ma non riesci a non cedere al richiamo di tutto l’amore che quella pellicola può donarti, tanto che finisci per immergerti nuovamente nella sua storia fino a che da quel seggiolino di velluto rosso ti alzi con gli occhi gonfi e carichi di lacrime, come tutte le volte.
Giorgio china il capo, rimette il suo cappello e comincia a raccontare a Vittoria la sua giornata con una voce roca ma amorevole, ogni tanto si rivolge a lei chiamandola “Piccolina” e come sempre, dopo aver pronunciato quella parola, deve interrompersi per non farle sentire la voce rotta dal pianto. Le racconta del loro giardino, di come ogni giorno continua a prendersene cura, delle sue vicende quotidiane e di loro figlio, che a sua volta è alle prese con il suo primo figlio, ormai quasi maggiorenne.
Poi si siede a terra, sorride ad una foto, come fa da ormai quarantadue anni, e con le mani impegnate a giocare con dei sassi trovati lì sul selciato, Giorgio sembra appena un ragazzo, basta però guardarlo negli occhi per capire che il suo animo è invecchiato più velocemente del suo corpo.
Del suo unico amore sente una mancanza folle, gli manca il suo profumo, gli manca quel bacio a fior di labbra che gli dava ogni mattina per svegliarlo, gli manca la sua voce e quei toni alti che riusciva a raggiungere quando si arrabbiava.
Giorgio ripete ogni volta queste frasi, poi sfinito si rialza facendosi forza con il suo bastone e si incammina per la strada verso casa.
Ogni volta provo nostalgia di Vittoria persino io, ogni volta mi verrebbe da pregare per Giorgio, ma poi mi ricordo di non credere in niente e tengo le parole per me.
Domani lui tornerà, rimarrà qualche minuto ad amare una foto mentre i gigli al cospetto di Vittoria appassiranno.
Io mi alzo dalla panchina, provato per l’ennesima volta da un finale che non si può cambiare ma che fa male accettare, decido che non tornerò più lì, non vedrò più Giorgio arrivare e non vedrò più Giorgio andarsene, nella mia testa voglio che lui sia immortale, così come immortale è l’amore che prova per lei.
Prima di salire in macchina vado a salutare Vittoria, non senza una morsa allo stomaco, guardo la sua foto, sorrido al suo sorriso, vorrei dirle tante cose ma alla fine rimango il silenzio, non c’è nulla che io possa dire che lei già non sappia.
Chino il capo, accendo una sigaretta e vado via.
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