Entrò quasi correndo nella stanza bianca ed anonima del pronto soccorso delle Molinette, con il cuore in gola e le mani che tremavano.

Lei era lì, sdraiata sul letto con lo schienale leggermente reclinato, una flebo che goccia a goccia la idratava ed i suoi occhi, aperti, ma stanchi che osservavano in modo distratto tutto ciò che c’era nella stanza.

Matilde si avvicinò e si guardarono quell’attimo che servì per far affiorare le lacrime di un pianto soffocato per entrambe fino a quel momento. L’abbracciò delicatamente e si sedette affianco a lei.

Come stai?”

“Ora bene, Mati, grazie per essere qui.”

Avrei mai potuto lasciare la mia migliore amica da sola in questo reparto di vecchietti acciaccati?”

Sorrise.

“Sei sempre la stessa. Ti voglio bene”

“Anch’io te ne voglio.”

E si strinsero la mano come facevano da bambine, quando passeggiando andavano a raccogliere fiorellini di campo da regalare alle rispettive mamme.

Cosa è successo?” “Stavo guidando. Devo essermi distratta. Non ricordo molto.”

“Ok, l’importante è che ti rimetta presto in piedi, abbiamo il nostro concerto, mica avrai dimenticato anche quello?” Un altro sorriso, grande.

“No, quello non l’ho dimenticato.” Matilde aveva il potere di farla sorridere sempre, soprattutto nei momenti della sua vita in cui i pianti di disperazione si trasformavano in risate isteriche da aver male alla pancia. Questo carattere solare era stata l’àncora per Lei e per molte persone, ma lo era stato soprattutto per Matilde stessa che ormai da qualche anno viveva una strana storia d’amore con Andrea.

Una relazione così particolare che assomigliava ad un girotondo, un rincorrersi su un cerchio dove prima è lui ad inseguire lei e, quando sembra averla raggiunta, comincia lei ad inseguire lui. Talvolta si prendevano, si coccolavano e si confermavano quell’amore l’uno per l’altra. Matilde non sapeva il perché, ma poi inesorabilmente ricominciava la giostra e nessuno poteva prevedere chi avrebbe rincorso chi. Però chiunque poteva vedere chiaramente che quell’amore vissuto in quel modo era il loro modo per tenerlo vivo e per tenersi vivi. Ed era straordinariamente puro e vero.

Passarono insieme l’intero pomeriggio fino a quando l’infermiere fece capolino nella stanza comunicando che a breve si sarebbe chiuso l’orario di visita.

“Quanto dovrai stare qui?

“Ancora un paio di giorni, spero. Non so se resisterò!”

“Va bene. Verrò a prenderti dopodomani. Mi raccomando, che il nostro concerto ci aspetta!”

“Sì, tranquilla.”

E le lanciò un ultimo sorriso prima che uscisse dalla stanza.

Vide il suo cellulare sul mobiletto affianco al suo letto. Lo accese e dopo qualche secondo, cominciarono a squillare le notifiche di tutti i messaggi che le erano arrivate in quelle ultime ore.

Due in particolare attirarono la sua attenzione: quello di Roberto ed il suo. Li lesse.

Si rese conto di aver fatto un casino. Ed il suo sguardo si spense. Posò il cellulare sul mobiletto chiuse gli occhi e bagnò con le lacrime il silenzio che l’avvolse.

Di Erica Venditti

Erica Venditti, Classe 1981, giornalista pubblicista dal 2015. Ho conseguito in aprile 2012 il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.