Timbrò il cartellino alle 5.45 spaccate e questa puntualità che normalmente lo avrebbe lasciato indifferente, gli aprì un leggero sorriso di soddisfazione. Incrociò i primi sguardi mezzi spenti dei colleghi e quel sorriso non fu completamente ricambiato.
Si trovò a pensare che alla fine avevano trascorso davvero troppo tempo lontani dal contatto fisico. La stretta di mano che sapeva di patto di amicizia, di intesa, di accordo tra galantuomini.
L’abbraccio, gesto di infinita dolcezza che trasmette senso di appartenenza, di comunione d’intenti, di solidarietà e affetto. Il bacio, sulle guance, sulle labbra, tenerezza e romanticismo, su tutto il corpo alla scoperta di quelle zone erogene attivatrici della passione carnale che fonde pelle e anime.
Aveva però deciso di non rendere un’abitudine il camminare per la strada con lo sguardo perso nel vuoto, giù, rivolto verso l’asfalto caldo e nero. Si sarebbe perso occhi e sorrisi, seppur celati dietro una mascherina e si sarebbe perso, probabilmente, in torbidi pensieri di solitudine.
In quel tempo di pandemia si era perso il tempo prezioso delle relazioni, degli impercettibili gesti come l’accenno di un saluto, uno sguardo cordiale o quello che chiede aiuto. Ora che non indossava più la mascherina, lui sorrideva, sorrideva sempre. Non sempre gli era ricambiato, ma lui non lo faceva per riceverlo. Sorrideva e strizzava l’occhio e così pensava di offrire una speranza di umanità e solidarietà. O almeno ci provava. E abbracciava ogni volta che gli era concesso.
Si chiedeva se le persone sarebbero state più in grado di esprimere le propria compassione verso il prossimo e quale sarebbe stata la profondità dei sentimenti che uomini e donne avrebbero nutrito tra loro, in futuro.
Salì le scale verso il suo reparto e si immerse, abbandonando i suoi pensieri nel flusso delle decine di colleghi e colleghe con cui avrebbe condiviso quell’interminabile turno di lavoro. E poi, a fine turno, forse, le avrebbe scritto.
Reply